Di forza. E di Lautaro

Roberto Beccantini30 settembre 2023

A San Siro c’è partita per un tempo. Un’azione, una sola: gran parata di Provedel su Giroud e a ruota, nel marasma, palo rocambolesco di Reijnders. Alla ripresa, solo Diavolo. Doppio assist di Leao, reti di Pulisic e Okafor. Pioli, il secchione distratto che aveva perso gli ultimi cinque derby, torna in cattedra. Ha calibrato il turnover, ha allargato la rosa, si è ripreso il Milan (ma sì). Sarri, lui, brancola nel buio. La Lazio è immobile, e Immobile – riserva, addirittura – non più la Lazio. Cose che capitano. Alla distanza, è crollato il centrocampo, compreso l’ordinato e ordinario Rovella, si sono spenti Felipe Anderson e Zaccagni. Da Castellanos, il vice Ciro, notizie vaghe. E’ un Milan ventre a terra, che assorbe l’uscita di Loftus-Cheek con la nonchalance dello sprinter che sa di aver scavato metri fra sé e gli altri. Per «C’era Guevara», quarta sconfitta: conoscendo Lotitus, auguri.

** Lecce-Napoli 0-4. A leggere alcuni siti, mi ero spaventato: Garcia già alla sbarra, Osimhen furibondo per un video, lo spogliatoio in subbuglio. Poi: 4-1 all’Udinese, 4-0 a Lecce. Per carità, squadre non certo equiparabili al Real di martedì, ma insomma. Ostigard, Osimhen, Gaetano e Politano: gli ultimi tre, dalla panca. Se il nigeriano continua a «distribuire» rigori (a Zielinski, a Politano), Kvara (che palla, la palla al Totem) e Anguissa mi sembrano in netta ripresa. Specialmente il georgiano. Verrebbe da dire: non tutte le «sparatorie» vengono per nuocere, do you remember la Lazio del ‘74? E allora, calma. Si sapeva che sostituire Spalletti non sarebbe stata una gita. Il violinista ci sta provando.

** Salernitana-Inter 0-4. Poker di Lautaro: tre di destro (su inviti della ditta Thuram-Barella e su rigore procurato del francese), uno di sinistro (da un’idea di Carlos Augusto).
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Berardi, il collezionista: pure l’Inter

Roberto Beccantini27 settembre 2023

Parafrasando François Villon, «ou sont les temps d’antan», quando il Sassuolino incassava un doppio 7-0 dall’Inter di Mazzarri? Già, dove sono finiti. Da sabato a mercoledì, 4-2 alla Juventus e 2-1 alla capolista. E così, dopo sei turni, le squadre imbattute sono zero. E la classifica «formato minigonna» recita: Inter e Milan 15; Juventus 13; Atalanta 12; Napoli e Lecce 11.

San Siro, dunque. Un’Inter strana, imbalsamata, faticosamente in vantaggio con Dumfries e tenuta in piedi da Sommer, fino alla spanciata su Bajrami. L’allegra combriccola di Dionisi ha sfiorato il tris più di quanto gli opliti di Inzaghino non abbiano avvicinato il pari. Domenico Berardi ha 29 anni: straripante contro Madama, travolgente contro l’Inter. Sua l’imbucata all’albanese; sua la rete del raddoppio. E sempre alla solita maniera: dallo spigolo destro dell’area, o giù di lì, adesca l’avversario e libera il sinistro a giro. Continuano a cascarci grandi e piccini. Non può essere più un caso: è un marchio.

Ha sempre rifiutato gli squali, ha sempre preferito i pesciolini della provincia crassa. Ci siamo accapigliati: grande giocatore da «piccola» squadra, in attesa di scoprire cosa sarebbe in un top club. In Nazionale, agli Europei, partì davanti a Chiesa, ma poi si fece rimontare.

Seduto sulla sponda del fiume, ha sbirciato i «cadaveri» che passavano: Lorenzo Pellegrini, Politano, Sensi, Locatelli, Raspadori, Scamacca, Frattesi. Lui, sempre lì. Con la sua fragilità, con le sue lune, con i suoi numeri (che ogni tanto dà, ma spesso fa). No all’Inter, no al Milan, no a Madama. Fino a quando?

Tornando all’Inter. Troppi ruttini da coccole. E dopo l’1-1, fra cambi e ri-cambi, il minimo sindacale di idee. Lau-Toro, l’armeno, il turco: inghiottiti, tutti, dagli sprechi di Laurienté e dal ritornello (aggiornato) della mia pubertà, Domenico è sempre Domenico.

Brodino

Roberto Beccantini26 settembre 2023

Non credo che la rosa della Juventus sia la più forte del campionato (anzi), ma del Lecce sì. E non di poco; e non per pochi. Eppure siamo sempre lì: sotto il risultato, il risultato. E basta. Il primo tempo di Udine e i lampi con la Lazio sembrano i coriandoli di un carnevale giurassico. Le auto-sberle del Sassuolino hanno lasciato il segno e mozzato i sogni. Persino l’effetto Magnanelli sembra sfumato. E se molli l’Allegri bis al suo destino, uhm.

Con i suoi limiti e i suoi bilanci, il Lecce di Corvino e D’Aversa è un’idea. Diranno: non ha mai tirato in porta. Vero. Ma quante volte lo hanno fatto Chiesa, Milik e, alla fine, Vlahovic? I piedi, soprattutto in mezzo e sulle fasce, sono grezzi, da McKennie a un Cambiaso sul quale il loggione aveva riposto speranze non lievi. Gioca Miretti e vorresti Fagioli. Tocca a Fagioli e pensi a Miretti: tombola.

Azioni da Juventus, una: nel primo tempo, Danilo smarca Chiesa, il cui diagonale sfila radente il palo. Il gol arriva nella ripresa, in mischia. Lo sigla Milik, fin lì uno dei più spettatori, su sponda aerea di Rabiot (quantum mutatus ab illo). Era il 57’. Dal quel momento, indietro tutti, indietro tutta. Un classico. Come se la Juventus, sapendo di non far più paura, avesse paura di molti, di troppi. L’ultima mezz’ora è stata l’apoteosi del corto muso, con Krstovic a mendicare munizioni e Kaba espulso al 91’ per un secondo giallo oggettivamente esagerato (non era rigore, non era simulazione: almeno a velocità normale).

E i due «bombaroli» del Mapei? Szczesny dall’inizio, mai impegnato; Gatti dal 75’, ancora scosso. Siamo appena alla sesta ed è difficile che Max lasci o cambi e il mercato di gennaio raddoppi. E allora è inutile che vi scanniate con o senza passamontagna. La Juventus ha scavalcato il Lecce che era imbattuto: sorbole!